Lo diceva anche Seneca, il filosofo: il tempo è il bene più prezioso, eppure ce lo facciamo scivolare via.
La psicoanalisi direbbe che ne facciamo un sintomo. In modi diversi, come usiamo il tempo dice qualcosa di noi, di un dolore per cui non troviamo le parole.
IL RITARDATARIO CRONICO
Alzi la mano chi non ne conosce almeno uno: appuntamento alle 20, Piercasimiro sicuro non si presenterà prima delle 21.
Magari il nostro Piercasimiro, ritardatario cronico, di giustificazioni ne troverà a bizzeffe (”mi si è rotta la macchina”, “mi scadeva lo yogurt”, “mi hanno rapito gli alieni”) ma, al netto dei naturali imprevisti che capitano a tutti, è chiaro che il ritardo, quando è cronico (sempre così!) non può essere liquidato come una casualità. E, quando le cose si ripetono, quando il copione è sempre lo stesso, a metterci lo zampino è sempre lui: l’inconscio.
Proviamo quindi ad analizzare il ritardo cronico con questa lente, quella dell’inconscio. Ciò che salta subito all’occhio è che il ritardo cronico chiama spesso sulla scena l’Altro: da un lato c’è chi ritarda (il nostro famoso Piercasimiro), dall’altro c’è qualcuno che viene messo nella posizione di attesa.
L’attesa, poi, ognuno se la gestisce a modo suo: c’è chi si scoccia, chi ci ride su, chi cerca di annientarla. Per dire, qualche amico del nostro Piercasimiro alla lunga lo manderà a quel paese. Oppure sarà indulgente. O si accomoderà sul modus di Piercasimiro (appuntamento fissato per le 20? A Piercasimiro meglio dire per le 19).
Di fatto, comunque, il ritardo cronico inchioda l’Altro, gli butta addosso la responsabilità di decidere come comportarsi. Il ritardo cronico, in fondo, è un’operazione che mette l’Altro all’angolo: “adesso che fai? Mi aspetti o mi pianti in asso?…puoi perdermi?”
In questo senso, quindi, il ritardatario cronico non fa che reiterare una domanda sull’amore, sul posto che occupa nel desiderio dell’Altro.
…è come se Piercasimiro in ogni suo ritardo mettesse in scena la sua insicurezza sull’amore. Il suo bisogno di essere amato, aspettato, desiderato. A costo di sfidare l’Altro, di pungerlo, provocarlo.
Capite bene che questa domanda d’amore inconscia è bene che trovi un modo per essere detta. Analizzata. Lavorata.
Diversamente, il nostro povero Piercasimiro rischia di restare intrappolato in questi ritardi odiosi, che gli fanno perdere l’occasione di sciogliere dei nodi che, nell’inconscio, lo fanno soffrire e avvelenano la sua vita.
FUORI TEMPO MASSIMO
“…ecco, così: laurearmi a 25y. Trovare lavoro, stabile entro i 27y. Accendere un mutuo a 28y. Fare carriera a 30y. Sposarmi a 32y. Fare un figlio a 35y.
In quest’ordine.
(Poi caffè e ammazzacaffè, grazie. 😀)
Diciamoci la verità, a volte siamo un pochino rigidi nel porci degli obiettivi. Il tempo, in questo caso, ci tritura con delle scadenze che tolgono il fiato. E la sensazione a volte è quella di arrancare, sempre in ritardo, sempre fuori tempo. Ci torturiamo con l’orologio biologico, la burocrazia universitaria e del mondo del lavoro. Ansia, santo cielo. Senso di fallimento che sale come la marea.
Intanto, magari, c’è pure la figlia modello della vicina di casa della nonna, Piergiorgina, che sfoggia il suo pancione e il suo 110/110 e lode.
Aiuto. Calma.
C’è da rimettere ogni cosa al suo posto. Riappropriarsi del proprio tempo, che non è quello del mondo. C’è da chiedersi sé queste scadenze così rigide sono davvero qualcosa che ha a che fare con i nostri desideri… o se magari dicono di un andare dietro alle aspettative di qualcun altro. C’è da fermarsi per riacciuffarsi al volo, prima di buttarsi a capofitto in scelte che magari non sono totalmente nostre. C’è da giocarsela con l’imprevisto, danzare sotto la pioggia. Lasciare spazio agli incontri inattesi, valutare strade mia battute. Accogliere.
Insomma farci pace, col tempo. Prendere il respiro per poi finalmente scendere dalla giostra e parlare.
#tempus
“DOMANI DOMANI…”
IL PROCRASTINATORE SERIALE
“Lo faccio dopo”. “Domani”. “C’è tempo”.
Poi finisce che Pierignazio, procrastinatore seriale, se ne dimentica, o è costretto a corse pazzesche, sul filo del rasoio.
Il procrastinatore seriale appare serafico nel suo rimandare.
Ma attenzione. Proviamo a guardare meglio.
In realtà, il procrastinatore seriale non è che se la passi gran che bene. Capita, in effetti, che qualche scadenza la manchi per davvero. E, sotto sotto, lo sforzo di tenersi alla larga dalle responsabilità logora.
Ma proviamo a capire cosa accade, utilizzando sempre la nostra lente psicoanalitica. Procrastinare all’infinito implica, di fatto, non separarsi mai dalle cose, non chiudere mai. Lo dico più facile: se Pierignazio rimanda per sempre il portare giù la spazzatura, la spazzatura se la terra’ sempre con se’. Se non si iscrive mai in palestra, non siseparerò mai dai chiletti di troppo. Se non comincia mai a studiare, non si lascerà mai alle spalle questo maledetto esame.
Procrastinare, quindi, non c’entra tanto con la pigrizia, piuttosto implica restare a bagnomaria in situazioni -anche scomode- impossibili da chiudere. Il nostro Pierignazio, quindi, dovrà guardarsi dentro e capire cosa lo intrappola, in che punto della sua vita si è impantanato. Cos’è questo godimento che prova nel non liberarsi mai.
il paradosso del procrastinatore seriale, in fondo, è questo qui: rivendicando il diritto di avere tutto il tempo del mondo, il procrastinatore il tempo lo perde. Proclamandosi libero, non vede che in realtà c’è un cappio che gli chiude la gola.
VIVERE POI
Lo diceva anche Leopardi, c’è qualcosa di speciale dell’attesa. La speranza del sabato che aspetta la domenica è più dolce della domenica stessa, che diventa tempo di tristezza, noia, delusione.
C’è chi la vita la vive tutta così. In attesa: della fine della giornata, del we, delle ferie, del diventare grandi, dell’essere magri e in forma, del diventare ricchi. E la cosa peggiore è che il tempo tanto atteso quasi mai è all’altezza di aspettative così alte. Intanto, poi, la vita presente scorre. Vuota. Arida.
Qui entriamo con tutte le scarpe nel campo della sofferenza psichica. Non acciuffare mai il presente, restare sospesi nell’attesa perenne, si configura come una strategia nevrotica per mancare l’incontro con il proprio desiderio, rimandandolo continuamente.
Un po’ come dicevamo per il procrastinatore seriale, lo ricordate? Ma con una portata ben più grave, perché, nell’attesa perenne, tutta la vita viene messa in pausa. E, alla lunga, avvizzisce.
QUELLI CHE “SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA PEGGIO”
…poi ci sono quelli che sono rimasti intrappolati nella nostalgia dei bei tempi andati. I ricordi sono come dei paraocchi per i cavalli: bloccano la visuale. Restringono l’orizzonte. Opprimono.
Accade spesso nei casi di lutto, cioè di perdita: la morte di qualcuno di caro, la fine di un amore, un trasferimento. Come se nessun altro tempo fosse abitabile, oltre al passato.
Anche in questo caso, la vita presente avvizzisce, insieme con i desideri, i sogni, i legami. Manca l’ossigeno di un tempo nuovo, di una primavera in arrivo. E anche in questo caso, il confine con la sofferenza psichica è sottile.
La psicoterapia è ciò che può permettere di (ri)aprire le finestre su panorami nuovi, senza la sensazione di tradire ciò che è stato. Tutt’altro: il punto non è tradire, ma dar valore. Dar valore al passato, utilizzandolo come cassa di risonanza per il futuro… e non come tomba. Usare i ricordi per vivere, rimettere in moto il tempo. Poter dare una chance a se stessi e al futuro.